In che modo la musica può migliorare il lavoro all’interno di uno studio di psicologia
A cura della psicologa Francesca Cervati
Lo sapevate che negli anni ’70 era vietato ascoltare il brano “Time” dei Pink Floyd mentre si guidava la propria macchina? Lo stesso destino toccò più tardi ad altre pietre miliari della musica, brani come “Bohemian Rhapsody” dei Queen e “Child in time” dei Deep Purple.
La censura, in questi casi, non era legata a discorsi riferibili al testo delle canzoni, come avveniva con gli stessi Floyd al tempo di “Another brick in the wall – part 2” o con i brani di Bob Dylan, ma anche di Guccini o De André in Italia, bensì era giustificata da una motivazione più intrinseca alla natura della musica stessa: queste canzoni “distraevano troppo” il guidatore.
All’epoca non si sapeva ancora con esattezza quale fosse questa motivazione musicale tuttavia erano già in atto i primi studi volti a dimostrare come la musica fosse (ed è) un fenomeno cognitivo che va oltre la semplice ricezione di un’onda sonora, con l’attivazione di diversi e complessi meccanismi mentali che analizzano ed elaborano l’informazione non in modo segmentato o univoco, ma dividendola “in compartimenti” tramite la percezione e gli schemi mentali dell’individuo.
A questi processi vanno poi aggiunte la conoscenza musicale pregressa del soggetto e il suo status al momento dell’ascolto di un brano.
Musica e psicologia cognitivo comportamentale
La terapia cognitivo-comportamentale
La teoria di fondo dell’approccio cognitivo comportamentale sottolinea l’importanza delle distorsioni cognitive e della rappresentazione soggettiva della realtà come origine e successivamente come mantenimento dei disturbi emotivi e comportamentali.
Non sarebbero dunque gli eventi a causare i problemi psicologici, piuttosto, questi vengono largamente influenzati dalle strutture e costruzioni cognitive dell’individuo.
La terapia cognitivo comportamentale è basata su due punti cardine:
– La parte cognitiva, che fa riferimento ai diversi processi mentali (come calcolo o pensiero) ed alla loro condizione di coscienza o incoscienza
– Il lato comportamentale, ovviamente riferito a ogni attività osservabile relativa al comportamento
Molti psicologi appartenenti a questo pensiero hanno affrontato la musica e l’impatto psicologico del discorso musicale, per poterne comprendere i meccanismi e il loro possibile utilizzo in campo clinico.
La musica oltre sé stessa
I primi autori a dedicarsi al tema “influenza della musica sulla vita quotidiana” furono alcuni noti musicologi e compositori che possiamo dividere in due linee di pensiero:
– Da un lato vi erano autori come Wagner, che sostenevano il pensiero di un significato musicale oltre la musica stessa, il cui contenuto era in grado di influire sul pensiero e sulle emozioni umane
– Da un altro lato autori come Stravinsky ritenevano invece che la forma musicale fosse fine a sé stessa e alla successione di note all’interno della composizione
Il mondo psicologico
L’approfondimento riguardo le ipotesi sostenute dal mondo della musicologia arriva con le ricerche svolte a partire dalla fine degli anni ’50 tramite l’utilizzo del paradigma cognitivo.
Leonard Meyer ad esempio, nel suo “Emotion and meaning in music”, stabilì che la musica è un processo che coinvolge diversi meccanismi e operazioni cognitive di immagazzinamento, elaborazione e trasformazione dell’informazione.
Lo psicologo cognitivo John Sloboda, ad esempio, introduce l’espressione “modello farmaceutico” degli strumenti musicali quell’esperienza basata sul presupposto che gli ascoltatori sono “il passivo destinatario di stimoli musicali che hanno un effetto psicologico a causa del modo in cui il cervello umano è costruito, da un lato, e il modo in cui la musica è formata, dall’altro”
(Sloboda – Exploring the Musical Mind).
L’ascolto di un brano risulterebbe quindi essere un processo di costruzione cognitiva che nasce dall’incontro tra la natura della musica stessa e il soggetto che sta ascoltando.
Il lavoro all’interno di uno studio di psicologia
Ci sono numerosi esperimenti che hanno riscontrato come la musica non sia una semplice questione di percezione acustica, ma possieda un significato intrinseco legato alla composizione e alla struttura del brano. Il passo successivo consiste nell’analizzare quanto questa conoscenza sia utile nel lavoro quotidiano all’interno dello studio di uno psicologo.
Diversi studi (Gardner 1982, Jensen 2000, Miché 2002) hanno riscontrato che la musica promuove le interazioni tra i due emisferi cerebrali, notando miglioramenti nel pensiero creativo.
Durante l’ascolto, il soggetto elabora cognitivamente la struttura musicale, trasformandola, riconducendola o rielaborandola come struttura concettuale.
In che modo la musica può essere utile?
La musica potrebbe risultare utile durante i primi incontri di un sostegno psicologico; trattandosi di un percorso mirato a una persona in un particolare periodo di crisi ma con un complessivo buon funzionamento di personalità, l’utilizzo della musica potrebbe aiutare a superare il blocco emotivo iniziale, facilitando quindi il ricorso a strategie mentali più funzionali.
In questo senso, l’ascolto mirato di alcuni brani aiuta:
– a familiarizzare con l’ambiente: la scelta di un brano dalla struttura semplice risulta al cervello come “già sentito” richiamando familiarità e facendoci sentire a nostro agio nella situazione; familiarizzare significa per la persona riuscire a interagire liberamente con il terapeuta
– il flusso di pensiero, poiché la musica è uno strumento adattivo che coinvolge processi mentali di immagazzinamento, elaborazione e trasformazione dell’informazione, “una costruzione in uno spazio che è definito biologicamente e culturalmente, consciamente e inconsciamente” (Alessandro Antonietti – Significati Musicali).
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